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Olio di palma: fa davvero male?


Che cosa è l’olio di palma?


L’olio di palma (e l’olio di semi di palma o olio di palmisto) sono degli oli vegetali saturi non idrogenati ricavati dalle palme da olio.

Un acido grasso si definisce “saturo” quando all'interno della catena carboniosa che lo compone non presenta doppi legami (o appunto insaturazioni) tra gli atomi di carbonio e viceversa.


Dal punto di vista puramente biochimico, la sostanziale differenza tra i due tipi di molecola si riflette nel fatto che il doppio legame, quando presente, conferisce maggior “mobilità” al composto. Tanto è vero che a livello macroscopico acidi grassi saturi e insaturi si distinguono poiché a temperatura ambiente i primi si presentano solidi (classico esempio di burro e strutto) mentre gli insaturi fluidi (la maggior parte degli oli vegetali è di questo tipo e anzi solitamente presenta più insaturazioni, venendo definito appunto polinsaturo).


Ci sono tuttavia alcune eccezioni, tra cui appunto l’olio di palma e l’olio di palmisto che vengono rispettivamente ricavati da frutti e semi della pianta della palma: entrambi questi composti contengono un’alta quantità di acidi grassi saturi, circa il 50 e 80% rispettivamente, ed entrambi sono solidi o semi-solidi a temperatura ambiente pur essendo vegetali (anche se con un processo di frazionamento si possono separare in componente liquida-olio di palma bifrazionato, usato per la frittura-e solida).


L’olio di palma dà il nome all'acido palmitico (acido grasso saturo con 16 atomi di carbonio), suo principale componente, ma contiene anche acido oleico monoinsaturo, mentre l’olio di palmisto contiene soprattutto acido laurico.



Come viene prodotto l’olio di palma?


L’olio di palma viene estratto dalla polpa dei frutti, per spremitura o per centrifugazione.


Il composto grezzo presenta un colorito arancione quasi rossastro, dovuto all'elevatissimo contenuto in carotenoidi, precursori vegetali della vitamina A.


L’olio di palma rosso è chiaramente nel latte materno considerato più sano dell’olio di palma raffinato (incolore), per via delle molte sostanze benefiche che contiene : carotenoidi, co-enzima Q10, squalene, vitamina E, vitamina K (tutti composti fortemente antiossidanti) e magnesio; senza contare che il suo componente principale (ovvero il famoso acido palmitico, a cui alcuni studi attribuiscono proprietà ipercolesterolemizzanti e aterogeniche, ovvero causanti la formazione di placche arteriosclerotiche), è presente anche , e per un 20 % nell'olio di oliva.


Occorre inoltre segnalare anche la presenza nell'olio di palma di discrete percentuali di acido oleico, un acido grasso monoinsaturo tipico degli oli più “salutari” come quello di oliva.


In alcune popolazioni addirittura l’olio di palma viene applicato localmente sulle ferite per facilitare la guarigione, grazie alle sue proprietà antimicrobiche (comuni a quelle dell’olio di cocco).


Dov’è l’inghippo?


Il problema è che prima di giungere sulle nostre tavole purtroppo l’olio di palma subisce una serie di processi di raffinazione, che includono la deodorazione, la decolorazione e la neutralizzazione (che serve ad allontanare gli acidi grassi liberi, riducendo l’acidità dell’olio) durante i quali i carotenoidi vengono completamente inattivati dal calore.


Queste tecniche di raffinazione con sostanze chimiche sono comuni un po’ a tutti gli oli di semi (e sono invece vietate nella produzione dell’olio extravergine di oliva) poiché contribuiscono a creare un prodotto finale dal basso costo, alta palatabilità (parametro fondamentale per la stragrande maggioranza delle aziende alimentari), ed elevata versatilità che ne consente un favorevole utilizzo in moltissimi prodotti di largo consumo quali biscotti, crackers, merendine, torte ed altri prodotti da forno confezionati.


E’ proprio questo prodotto finale, che si può definire oramai quasi un prodotto “di scarto”, ad essere il principale colpevole di tutti i danni reali o presunti che vengono attribuiti in maniera (come oramai abbiamo capito) troppo generica all’olio di palma.


Una nota importante riguarda poi il ruolo che l’utilizzo di olio di palma ha sull’impatto ambientale: è sicuramente vero che vi sono molti effetti collaterali dovuti alla sua produzione, in primis la necessità di convertire alla coltivazione di palme aree ecologicamente importanti come zone di foresta pluviale, contribuendo in questo modo ad aumentare considerevolmente le emissioni di anidride carbonica e gas serra con un conseguente e rilevante danno ambientale.


OLIO DI PALMA E SALUTE



Con l’entrata in vigore del Reg.Ue 1169/2011, dal 2015 è obbligatorio indicare, nelle etichette dei prodotti alimentari prodotti nella Comunità Europea, l’origine vegetale specifica di oli e grassi utilizzati, e di conseguenza dichiarare anche l’utilizzo dell’olio di palma, dal momento che vi sono alcuni studi che affermano il suo ruolo nell'aumentare i fattori di rischio cardiovascolare.


E’ infatti stato accertato che i principali acidi grassi che alzano il livello di colesterolo, aumentando i rischi di coronaropatia, sono gli acidi grassi saturi e in particolare:

  • l’acido laurico (12 atomi di carbonio)

  • l’acido miristico (14 atomi di carbonio)

  • l’acido palmitico ( 16 atomi di carbonio)

di conseguenza alcune associazioni statunitensi (come l’American heart Association) ed europee hanno elencato l’olio di palma fra i grassi saturi di cui limitare l’uso a coloro che devono ridurre il livello di colesterolo.


Fortunatamente però, nonostante negli ultimi tempi ci sia stato un allarmismo generale relativamente all’uso di olio di palma , in parte giustificato dalla sua composizione chimica, solo pochi studi scientificamente validi hanno indagato gli effetti specifici dell’acido palmitico sul rischio coronarico e cardiovascolare, tra cui un recentissimo articolo di un gruppo di ricerca italiano da cui emerge come la sostituzione dell’acido palmitico dietetico con altri acidi grassi potrebbe avere sia effetti positivi che negativi su alcuni marcatori di rischio cardiovascolare, facendoci capire dunque come questo composto non sia il solo e principale pericolo per la nostra salute.


In ultima analisi quindi, nonostante siano sicuramente necessari ulteriori studi, si può affermare che l’aumento di rischio di patologie cardiache sia direttamente correlato ad una dieta ad elevato tenore lipidico ed in particolare ricca di acidi grassi saturi, soprattutto di origine animale, ma ancora di più di acidi grassi trans e idrogenati ​presenti ad esempio nelle margarine (ricordo brevemente che l’idrogenazione è un processo chimico utile alla saturazione parziale di acidi grassi polinsaturi, durante la quale spesso la molecola in questione cambia conformazione passando per l’appunto da “cis” a “trans” per cui, senza entrare in dettagli biochimici, ha un destino diverso all’interno del nostro organismo favorendo ancor di più l’innalzamento del colesterolo LDL o “cattivo”).

Da queste evidenze emerge dunque il ruolo generalmente cardioprotettivo di una dieta che sia:

  • a basso tenore lipidico in primis

  • a più alta concentrazione di acidi grassi polinsaturi rispetto ai saturi di origine animale (es burro, strutto)

  • a più alta concentrazione di acidi grassi polinsaturi rispetto ai vegetali trans-idrogenati, ancor più pericolosi

Per la nostra salute dunque, in campo industriale, l’impiego di olio di palma è addirittura preferibile rispetto ai grassi vegetali ricchi di acidi grassi trans.



CONCLUSIONI


Da qui un’importante e personale considerazione conclusiva sul ruolo più o meno dannoso dell’olio di palma per la nostra salute: è inutile evitare come la peste prodotti alimentari industriali solo perché fra gli ingredienti figura l’ormai noto acido grasso, se poi si utilizzano prodotti ugualmente “scadenti” qualitativamente per il nostro organismo a causa del contenuto di farine bianche raffinate, zuccheri in eccesso, burro e altri grassi saturi animali o peggio margarine idrogenate.



​​​Dott.ssa Giorgia Visentini

Biologa Nutrizionista

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